Da quando sono arrivata in Tanzania, ho sempre avuto il privilegio di assistere alle cerimonie Maasai come ospite, accolta dalle famiglie che mi aprivano le porte delle loro giornate speciali.
Ma questa volta è stato diverso.
In questi giorni ho avuto l’onore immenso di vivere l’Elatim non come spettatrice, ma come parte della famiglia, della comunità, del villaggio dove vivo.
Ho respirato ogni momento di questa cerimonia antichissima, partecipando a ogni fase, sentendomi parte di qualcosa di grande, di autentico.
L’Elatim è una delle cerimonie più importanti per il popolo Maasai. Dura tre giorni, ma la sua energia inizia a farsi sentire molto prima: settimane prima il villaggio si trasforma, si anima, si prepara con cura e dedizione. Le case vengono ristrutturate, i recinti per il bestiame rinforzati, i cortili spazzati e adornati, la vegetazione circostante curata come se ogni foglia avesse un ruolo nella festa.
Tutti si muovono come un solo cuore, ognuno con il suo compito, ognuno con il suo entusiasmo. È un crescendo di emozioni, di sorrisi, di attesa.
Le famiglie attendono con trepidazione i giorni del mercato, quei momenti cruciali in cui vendono parte del loro bestiame — la loro ricchezza, il loro orgoglio, la loro eredità. È con il ricavato di queste vendite che si iniziano a
tessere i fili della festa: si acquistano cibo, bevande e tutto ciò che servirà per accogliere, con onore e abbondanza, gli ospiti che arriveranno da ogni direzione.
Il villaggio si prepara con devozione. Ogni dettaglio viene curato con amore, perché nulla deve essere lasciato al caso. Tutto dev’essere splendente, armonioso, in perfetto ordine il giorno in cui inizierà la cerimonia. Quando gli
ospiti — centinaia, a volte migliaia — giungeranno da ogni dove per condividere il rito, l’atmosfera dovrà parlare di rispetto, di orgoglio e di bellezza.
Ma l’anima della cerimonia comincia a prendere forma mesi prima. La preparazione vera e propria non è fatta solo di lavori manuali, ma di decisioni profonde, intense, condivise. Gli anziani si riuniscono, discutono, valutano.
Serve il loro consenso per stabilire se i giovani possono compiere il grande passo: diventare i nuovi guerrieri della comunità, detti “MORANI” in lingua maa.
Contemporaneamente, si decide chi tra gli attuali guerrieri è pronto a passare alla fase successiva della vita, lasciando il proprio ruolo ai più giovani.
È un processo sacro, carico di significato. Ogni passaggio implica nuove responsabilità, nuovi doveri, e una crescente fiducia della comunità. Più si cresce, più si conquista voce, ascolto, potere decisionale.
Non è solo una questione di età: è una chiamata interiore, un riconoscimento profondo. È il cammino dell’identità. Un viaggio che plasma l’uomo, il guerriero, il futuro leader.
IL SIGNIFICATO PROFONDO DELL’ELATIM
Nella lingua Maa, Elatim è una parola carica di forza, tradizione e trasformazione. Indica una delle cerimonie più significative nella vita dei Maasai: quella della circoncisione maschile, un rito di passaggio che segna il confine tra l’infanzia e l’età adulta. I ragazzi attendono questo momento con un misto di orgoglio, trepidazione e coraggio. È il giorno in cui si affacciano al mondo con un nuovo sguardo, il giorno in cui diventano uomini agli occhi della comunità.
Ma la stessa parola, Elatim, richiama anche la cerimonia femminile che commemora l’infibulazione, una pratica che per molto tempo ha fatto parte della tradizione.
Oggi, fortunatamente, questa pratica è vietata dalla legge in Tanzania e viene sempre più abbandonata. Tuttavia, in alcune aree più remote e conservatrici, c’è ancora chi la perpetua in silenzio, lontano dagli occhi, mettendo a rischio la salute e la dignità delle giovani donne.
Parlare dell’Elatim significa allora guardare sia alla bellezza del rito che accompagna la crescita dei giovani, sia al coraggio di un popolo che lentamente si confronta con il proprio passato, cercando nuove strade per onorare le
tradizioni, senza rinunciare alla consapevolezza e al rispetto della vita.
È una parola che racchiude storia e speranza, un termine che ci ricorda quanto potente e complesso possa essere il cammino verso l’identità.
COME SI SVOLGE LA CERIMONIA
La festa inizia agli albori del primo dei tre giorni, con un gesto potente e carico di significato: il sacrificio di alcuni animali, capre o mucche.
A prima vista può sembrare un atto cruento, ma tra i Maasai è un gesto sacro, un’offerta alla comunità. Gli animali sono la linfa della loro vita: li nutrono, li curano con estrema attenzione. E quando li sacrificano, lo fanno con rispetto, riconoscendone il valore profondo. Nulla va sprecato, tutto viene condiviso.
In ognuno dei tre giorni di festa la mattina presto vengono sacrificati degli animali, viene distribuito cibo a chiunque, invitato o meno, maasai o no, chiunque arrivi è accolto con generosità: il cibo e le bevande vengono offerti a tutti, senza distinzione.
Il primo giorno è di accoglienza e condivisione, durante il quale arrivano tutti gli invitati e la gente dei villaggi vicini.
Il secondo giorno è il cuore pulsante della cerimonia, il momento più intenso e sacro. Le emozioni si fanno profonde, i ritmi più solenni. È il giorno dei riti principali, tra cui quello della circoncisione, un passaggio cruciale per i giovani ragazzi.
Davanti a un cerchio di uomini adulti, con lo sguardo fisso e il respiro trattenuto, il ragazzo affronta la prova senza lasciar trapelare alcun segno di dolore. Solo così dimostra il proprio coraggio, la propria forza e può venir
riconosciuto come un vero guerriero.
Il terzo e ultimo giorno è dedicato ai riti conclusivi, momenti intensi e carichi di significato che segnano la fine della cerimonia. Al termine, gli ospiti fanno loro rientro verso casa. È proprio in quell’istante, quando il silenzio prende il posto dei canti e delle emozioni vissute, che realizzi davvero ciò che è accaduto nei giorni precedenti: un vortice di sensazioni, immagini e gesti pregni di intenso significato.
Ed è allora che, travolto dalla stanchezza, ti lasci andare in un sonno profondo e rigenerante, come se anche il tuo corpo avesse bisogno di custodire e onorare quanto vissuto.
Tutte e tre le giornate scorrono tra danze ipnotiche, salti spettacolari e canti che sembrano preghiere, in un’atmosfera vibrante e gioiosa.
I giovani guerrieri, splendenti nei loro ornamenti di perline, sfidano la gravità con i loro salti rituali. Le donne maasai (“YEYO” in lingua Maa) , vestite con abiti dai colori tradizionali che variano dal nero, al viola, al blu, adornate di gioielli scintillanti (GILINGILI), danzano accompagnando i movimenti con voci armoniose che toccano il cuore.
L’atmosfera è elettrica, pervasa da allegria, risate e un senso di unità che va oltre ogni immaginazione.
È una festa, sì. Ma anche molto di più: è un inno alla vita, all’identità, alla bellezza dell’essere insieme.
I nuovi guerrieri sono vestiti con abiti neri chiamati “ESUKAN” nella lingua Maa, utilizzati solo per le cerimonie importanti, decorano il corpo e gli abiti con un pigmento rosso ottenuto da un frutto locale e olio di capra o pecora.
*** Curiosità: Tra i Maasai, le elaborate acconciature – che siano i rasta sottili o le spettacolari extension di lana – sono un privilegio riservato esclusivamente alla fase dei “Guerrieri”.
Durante l’infanzia e una volta divenuti adulti, i capelli devono invece essere portati corti o completamente rasati, secondo una regola precisa che riflette l’ordine e la disciplina del loro sistema tradizionale.
Fino a poco tempo fa, gli uomini adulti potevano scegliere di non seguire questa norma ma solo pagando un’ammenda. Tuttavia, a partire dal 2024, la comunità ha deciso di rafforzare il valore della tradizione: oggi, nessun adulto può più portare i capelli lunghi.
Una scelta identitaria, che riafferma l’importanza dei ruoli e dei passaggi di vita all’interno della cultura maasai.
LA CHIUSURA DEL RITO: UN NUOVO INIZIO
Al termine dei tre intensi giorni di festa, quando i canti iniziano ad affievolirsi el’aria è ancora carica di emozione, i protagonisti — i nuovi guerrieri e/o le ragazze celebrate — portano al centro del boma (centro del villaggio) dei giovani rami d’albero, simboli di rinascita e di futuro.
Le donne li ricevono e li piantano con cura davanti alla casa dei festeggiati. È un gesto semplice, ma profondo: come a voler radicare nella terra il cambiamento appena compiuto, a sigillare con la natura un passaggio di vita.
In un piccolo Kibuio — una zucca essiccata e svuotata, simbolo ancestrale di vita e nutrimento tra i Maasai — vengono versati latte e acqua, gli elementi sacri dell’esistenza. All’imboccatura viene posta dell’erba fresca, verde e profumata, raccolta poco prima simboli di benessere e abbondanza.
Le donne si avvicinano al giovane alberello appena piantato e stanno in piedi di fronte ad esso. Il padre dei festeggiati siede, silenzioso, alla destra dell’alberello. Aspetta.
E lì, comincia la benedizione.
Dal Kibuio, con movimenti pieni di grazia e intenzione, le donne lasciano cadere gocce del prezioso liquido sulle foglie e sulle radici della pianta.
Un gesto che nutre, consacra, protegge, con la forza silenziosa delle donne e il linguaggio eterno dei simboli.
Poi le donne, tra movimenti armoniosi e salti continuano il rito attorno ai fuscelli appena piantati. Le loro voci si intrecciano con il battito della terra, in un cerchio sacro di forza femminile e di benedizione.
È poi il momento della consegna. Secondo la tradizione, le donne si avvicinano al padre e gli rasano la testa — anche se già rasata, il gesto viene comunque compiuto simbolicamente — e gli mettono al collo una collana di perline blu speciali, “ORMASI” in lingua Maa, è il rito conclusivo della cerimonia dell’Elatim.
La stessa collana viene indossata anche dal ragazzo e/o dalla ragazza festeggiati.
Questa collana verrà tolta solamente dopo qualche giorno, sempre con un rituale.
E con esso, si chiude un capitolo importante della vita dei Maasai.
Un capitolo che parla di crescita, identità, coraggio e appartenenza.


